Riflessioni

Un osso di pesca

Un osso di pesca

Un immenso mutamento antropologico e una inversione tanto potente quanto erronea.

Solo un paio di generazioni fa quando si mangiava una pesca, l’osso non finiva “nell’umido” e gettato via, ma era conservato in un barattolo insieme ad altri ossi di pesca. Poi, alla prima occasione, gli ossi di pesca erano interrati in campagna. Dopo qualche tempo sarebbero nati alberelli di pesco… Era, in pratica, quello che oggi, in teoria, si chiama ecologia.

Forse si può sorridere a questi ricordi di un’Italia diversa, un’Italia, per così dire, in bianco e nero, uscita a pezzi dalla Seconda Guerra Mondiale. Un Paese più semplice, meno sofisticato. C’era, forse, anche meno individualismo.Era ancora possibile andare a chiedere alla vicina uno spicchio d’aglio per cucinare. Non tutto era perfetto. Si litigava tra vicini. Malignità, maldicenza, invidia non mancavano. C’erano anche enormi problemi sociali, che venivano affrontati però da una classe politica la quale, nel complesso e coi suoi limiti, poteva essere considerata egregia, espressione di un popolo che lavorava, soffriva, e che sapeva pensare.

Chi avrebbe mai detto che sarebbe venuto il giorno in cui si sarebbe messo il cappottino invernale ai cani e la museruola alle persone? Chi avrebbe mai detto che una delle massime soddisfazioni esistenziali sarebbe stata farsi tatuare? I dermatologi avvertono che le vernici usate per il tattoo sono le stesse adoperate per le carrozzerie delle auto, ma chi li sta a sentire? Così va il mondo.

Pian piano si è presa l’abitudine di gettare via gli ossi di pesca. Poi la logica del mercato e del consumismo ci ha abituato a gettare via gli elettrodomestici. Poi sono sorti i cimiteri delle vetture, gettate via per averne di nuove. La stessa logica ha prodotto, cioè, la pratica dell’usa-e-getta. Niente si mantiene né si aggiusta più. Non solo le cose, ma anche i sentimenti, le parole, le promesse di nozze, l’amicizia, la buona frequentazione. Si è cominciato a buttare via il lavoro, la competenza sul lavoro, l’onestà e la fattività di un buon lavoro pagato al prezzo giusto. Il lavoro, invece, deve servire per fare cose che “non” durano. Una strada rifatta oggi la si sfascia di nuovo fra qualche mese per interrare nuove canalizzazioni. Poi si copre la buca con artistiche pezze d’asfalto.

Niente si salva dall’essere gettata via. A meno che… quella certa amicizia non produca un tornaconto, quel sentimento non generi una convenienza personale. Così il dio mercato e il dio minore consumismo producono l’usa-e-getta, l’arrivismo, l’utilitarismo più egoistico, ipocrita. Che cosa è mai accaduto? Semplicemente che si sono invertiti i mezzi con gli scopi. E tale inversione genera “la potenza dell’errare” (E. Severino).

È possibile oggi conservare qualche “osso di pesca” e gettar via ciò che davvero non merita attenzione e considerazione? È possibile “piantare” nelle nostre menti qualcosa di buono affinché porti frutti buoni? Le Scritture sono letteralmente piene di riferimenti all’agricoltura mediterranea. Si pensi alla parabola dell’albero di fico senza frutti. La mente umana è come un campo in cui si possono seminare semi buoni, oppure vi si possono lasciar crescere erbacce. Cristo Gesù è il solo che ha “parole di vita eterna”, cioè di vita piena, generosa, lieta. La sua etica è cordiale. Egli esorta i discepoli a non comportarsi più seguendo la vanità nel pensare e nell’agire, con l’intelligenza ottenebrata, estranei alla vita di Dio, a motivo dell’ignoranza, a motivo dell’indurimento del cuore. C’è chi ha perso ogni sentimento, si è abbandonato alla dissolutezza fino a commettere ogni specie di impurità con avidità insaziabile.

Ma chi ha imparato a conoscere Cristo conserva il suo “osso di pesca” per ripiantarlo. Il discepolo della verità che è in Gesù impara a essere rinnovato nello “spirito della mente”, a rivestire la persona nuova che è creata a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità. Occorre gettare via (questo sì!) la menzogna, dire la verità al prossimo perché siamo membra gli uni degli altri. “Chi rubava non rubi più, ma si affatichi a lavorare onestamente con le proprie mani, affinché abbia qualcosa da dare a colui che è nel bisogno. Nessuna cattiva parola esca dalla vostra bocca; ma se ne avete qualcuna buona, che edifichi secondo il bisogno, ditela affinché conferisca grazia a chi la ascolta. Non rattristate lo Spirito di Dio con il quale siete stati suggellati per il giorno della redenzione”. “Gettate via da voi (questo sì!) ogni amarezza, ogni cruccio e ira e clamore e parola offensiva con ogni sorta di cattiveria! Siate benevoli e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo. Siate imitatori di Dio, perché siete figli da lui amati; e camminate nell’amore come anche Cristo vi ha amati e ha dato se stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio quale profumo di odore soave”.

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