Riflessioni

MARE E MORTI

“Il mare restituì i morti” Sto pensando agli occhi grandi bianchi profondi dei tanti ragazzi neri neri neri che agli incroci e ai semafori di Siracusa ci chiedono qualche “pìcciolo”. Hanno imparato a dire “grassie” se solo gli dai qualche centesimo. E poi penso alle carni nere, schiacciate, maciullate, affogate e a quegli occhi morsi dai pesci, le carni delle migliaia (e non centinaia) di neri morti di recente nel Mediterraneo. Se ne parla. Ci si attiva. Ci si preoccupa. Interviene l’Europa. Le potenze internazionali. Ci sarà pure qualche potenza abbastanza potente da affrontare e risolvere con potenza queste potenti morti in mare. La notizia non dovrebbe essere la loro morte, bensì la nostra ipocrisia. Se fossero morti in quattro o cinque, la cosa non avrebbe fatto tanto scalpore. Ma sono più di ottocento, questa volta. E allora a noi pare diverso, e anche le nostre coscienze ottenebrate da malizia, malvagità, fornicazioni, malevolenza, adulteri, malignità, egoismo, chiusure mentali sembrano ridestarsi. C’è chi si preoccupa del giudizio dei giornalisti, chi del giudizio della società, chi del giudizio della politica. C’è un altro giudizio, anzi “il” giudizio. Che ci sarà di certo. Il giudizio di Dio Potente è più certo della nostra vita oggi e della nostra morte domani. La certezza di questo giudizio potente dovrebbe esser valido motivo per rispettare Dio, per smettere di mentire, anzi per ravvederci del nostro agire indifferente, mortale. Scrive Giovanni apostolo: Poi vidi un grande trono bianco e colui che vi sedeva sopra. La terra e il cielo fuggirono dalla sua presenza e non ci fu più posto per loro. E vidi i morti, grandi e piccoli, in piedi davanti al trono. I libri furono aperti, e fu aperto anche un altro libro che è il libro della vita; e i morti furono giudicati dalle cose scritte nei libri, secondo le loro opere. Il mare restituì i morti che erano in esso; la morte e l’Ades restituirono i loro morti; ed essi furono giudicati, ciascuno secondo le sue opere. Poi la morte e l’Ades furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la morte seconda, cioè lo stagno di fuoco. E se qualcuno non fu trovato scritto nel libro della vita, fu gettato nello stagno di fuoco (Apocalisse 20,11 ss.). Al visionario Giovanni è dato di descrivere una scena rivelatoria, cioè apocalittica. Apocalittica come queste morti nel Mediterraneo. Mare antico, solcato da Ulisse alla ricerca di “virtute e canoscenza” per evitare proprio di “viver come bruti” nel grande male dell’ignoranza. Mare moderno, solcato nel contempo da enormi navi da crociera dove si balla e si fa teatro e si mangia da re, e da barconi stracarichi di merce umana nera. Contrasti. Contrasti voluti e prodotti dall’uomo moderno con la sua intraprendenza, con la sua mercificante globalizzazione, con la sua potenza malata, con quel male antico e moderno, che ci portiamo dentro, e che sempre produce frutti mortali. La maledizione dei neri non finì a metà Ottocento, quando in Gran Bretagna William Wilberforce (ed altri del gruppo di Clapham), con la Bibbia in mano convinse il Parlamento inglese che lo schiavismo era una vergogna. La maledizione dei neri non finì neppure con Abraham Lincoln e con la Guerra di Secessione americana. Lo sfruttamento dell’uomo contro l’uomo non finisce solo perché Dio decreta che lo schiavo è mio fratello – come scrive Paolo apostolo nella sua Lettera a Filemone, nel Nuovo Testamento. Gli uomini, noi uomini, abbiamo deciso di non ascoltare la parola di Dio; di non credere che Dio giudicherà le nostre opere. Ed ecco, il segno terribile anche dei nostri tempi: “Gli uomini non si ravvedono delle loro opere” – segno rivelatorio, cioè apocalittico (Apocalisse 9,20; 16,11). Su questa Terra siamo capaci di spiare movimenti di qualsiasi genere con strumenti sofisticatissimi orbitanti a chilometri di altezza sulle nostre teste, e però non sembriamo capaci di controllare imbarchi e naufragi che avvengono nel “Mare nostrum”. La High Technology è troppo costosa per essere utilizzata per controllare/aiutare gente la cui carne è forse troppo nera per valere un soccorso serio? Eppure c’è chi con quella carne ci si arricchisce, seguendo forse la logica della Modesta proposta di J. Swift: cuciniamo bolliti i bambini irlandesi e imbandiamo con le loro carni le nobili tavole degli inglesi così da risolvere i problemi della sovrappopolazione e della fame. “Il mare restituì i morti che erano in esso”. Perciò, li rivedremo tutti un giorno: quelle madri, quei bambini e bambine, quegli uomini morti affogati, li rincontreremo. E ci guarderanno in faccia. Come quando ci chiedono spiccioli al semaforo. Vedremo se allora sapremo darglieli voltandoci dall’altra parte, senza chiedere loro: Chi sei? Come ti chiami? Da dove vieni? Hai mangiato oggi? Su di noi, su tutti noi, ci saranno (ci sono già oggi) gli occhi di Dio a chiederci la attuale domanda antica: Dov’è tuo fratello? “Il mare restituì i morti che erano in esso”. Le instabili onde del mare sono segno di insidie sconosciute. Lo sanno bene questi neri che fuggono guerra e fame. E preferiscono affrontare le insidie di deserto e mare per arrivare in quell’Europa che essi credono un paradiso (si può credere a una bugia). Molti vanno direttamente in paradiso... E noi saremo giudicati dalle nostre opere, da ciò che avremo fatto, o non fatto, e se avremo usato gli occhi per vedere la potenza di Dio nelle carni nere maciullate. Carni di gente che bussa alla porta di una società disumana perché distratta da troppa televisione, troppo facebook, troppo internet, troppo egoismo, troppa superficialità. Nel giorno del suo giudizio potente Dio abbia pietà di noi, di tutti noi, nìuri e bianchi. Ma non sono solo loro che stanno affogando. Riproduzione riservata © R.T. - 2015

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