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Riflessioni / novembre

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DIO E
IL MALE






Questa pagina, interamente curata e finanziata dalla comunità cristiana che si incontra in APRILIA
via G.Carducci, 9
ha il solo fine di promuovere il ragionamento sui temi importanti della vita e della fede
in Cristo.

Dio ad Auschwitz?

Da decenni si cerca di risolvere la questione: Se Dio c'è, perché c'è il male? Non esiste una risposta teoretica a questo problema, o così sembra. La persona credente può dire che: (1) se Dio esiste, allora era anche anche nelle foibe e ad Auschwitz. Qui, credenti di religioni diverse hanno proclamato che anche in questa fabbrica di morte Dio vive, nonostante tutto; (2) ma il credente deve ammettere che non si può dare una risposta alla domanda: come poteva Dio esserci senza impedire?
Non si può scavare nel mistero di Dio: qui è il caso di spendere questa parola, "mistero", tanto abusata. La Bibbia non spiega come il Dio buono, giusto, potente (nessuno di tali attributi può essere abbandonato se si vuole avere ancora a che fare con Dio) abbia potuto lasciare accadere dolori e fatti così enormi. Il credente deve ammettere che qui siamo dinanzi a un punto estremo, a una questione difficilissima, dove molti scelgono il silenzio... Atei e scettici hanno ragione: nessuno dei grandi spiriti dell'umanità ha risolto il problema della della giustificazione di Dio di fronte al male.
Ma è giusto anche porre agli atei e scettici contemporanei la controdomanda: la soluzione è allora davvero l'ateismo? L'assenza di Dio spiega forse meglio il mondo coi suoi mali, dolori e morti, le sue miserie e grandezze? Può l'incredulità consolare, per esempio, dinanzi all'assurda sofferenza dell'innocente? E non è forse vero che la ragione incredula incontra in tale sofferenza il proprio limite? Come se Auschwitz, foibe e genocici non fossero in gran parte opera di criminali già privi di Dio! Come si vede, l'ateo scettico non ha maggiori possibilità di spiegazione del credente.

Allora: come comportarsi con la sofferenza e il dolore?
Non una comprensione teoretica, ma una sopportazione pratica fiduciosa del dolore privo di senso. Il dolore immenso, innocente non si lascia ordinare, spiegare, comprendere teoricamente (individualmente e socialmente) ma solo sopportare praticamente.
Giobbe dice che Dio è e resta in definitiva incomprensibile, ma è data all'uomo la possibilità - invece che rassegnarsi o disperare - di una fiducia incrollabile e incondizionata. Giobbe dice che Dio rispetta anche la protesta dell'uomo dinanzi alla sofferenza e si rivela alla fine come il Dio che lo libera dal dolore.
Invece di spingere invano su per il pendio, come Sisifo, un macigno che è destinato a rotolare di nuovo a valle, si può adottare l'atteggiamento di Giobbe: nonostante tutto il dolore di questo mondo, una fiducia assoluta, incrollabile, nei confronti del Dio incomprensibile.
Ma di nuovo la questione: che Dio incomprensible, insensibile, è questo che tenendosi al di sopra della sofferenza umana lascia che l'uomo si dibatta, lotti, protesti, perisca o che si rassegni e muoia? Qui molti trovano la ragione del loro ateismo. Eppure bisogna prendere in considerazione la controdomanda: davvero Dio è così al di sopra della sofferenza umana, come diamo per scontato nelle nostre proteste e come ritengono gli stessi filosofi?
Certo si può dire: se si guarda all'immenso dolore del mondo, non si può credere che esista un Dio. Ma si può dire anche il contrario: solo se c'è un Dio si può in generale vedere questo immenso dolore del mondo.
Solo se c'è la luce ci si può accorgere del buio in cui camminiamo.
Qui si deve tenere tenere conto di Gesù, della sua vita, della sua sofferenza, della sua morte. Alla sua figura storica vogliamo richiamare e invitare anche TE, per imparare a credere senza aver paura di porre domande forti.

Gesù ha avuto fiducia

Gesù è il Servo di Dio, Servo che soffre e muore, Uomo dei dolori, familiare coi patimenti (Isaia 53). Questo Uomo che muore lentamente in croce, deriso, coperto di sputi, anticipa e racchiude in sé l'esperienza amara di tutte le vittime dell'odio:
poter essere abbandonati da tutti gli uomini;
poter perdere persino la propria umanità;
poter essere abbandonati persino da Dio stesso.
Domandiamoci:
la morte di Gesù ha avuto un senso?
Della vita e della sofferenza di Gesù, che sembra vivere e soffrire senza senso si può dire solo una cosa, ma assolutamente importante: anche un vivere e un soffrire umano manifestamente assurdo può avere un senso, può ricevere un senso.
La morte di Gesù ha avuto un senso? Risposta: solo la fede fiduciosa nella resurrezione di Gesù a vita nuova, mediante Dio e con Dio, può dare "senso" a questo morire esteriormente privo di senso, a questo morire nell'abbandono da parte di Dio.
Solo in virtù di questa fede, il Crocifisso, Risuscitato alla vita di Dio, costituisce un invito a confidare in un senso anche in mezzo a una sofferenza apparentemente priva di senso e a praticare in questa vita, sino alla fine, la sopportazione e la resistenza.
Non quindi l'attesa di un lieto fine sulla terra, come per Giobbe, che alla fine riavrà i beni e i figli: così favoleggiano molte chiese e gruppi ancor oggi. Gesù dice invece:
"Non è dall'abbondanza dei beni che uno possiede, che ha la vita...» (Luca 12).
Non perciò promesse di beni materiali. Ma, invece, in maniera totalmente radicale,
la proposta di trovare un senso anche nella sofferenza priva di senso, sopportata, se necessario, sino alla fine amara.
Un senso nascosto, che l'uomo non scopre da sé. Non sono io ad annettere questo senso nascosto alla mia vita e alla mia sofferenza. Si tratta infatti di un senso che posso ricevere in dono alla luce del Gesù Unico, Abbandonato da Dio e dagli uomini e tuttavia reso Giusto.
Questa via radicale qui suggerita, questa via del senso nascosto, è presentata pure nel Vangelo, che lega inscindibilmente tra loro:

sofferenza e speranza,
dolore e fiducia,
morte e senso nascosto della morte,
abbandono e fiducia
--- tutto ciò è presente nei due gridi di Gesù in croce:
"Dio mio perché mi hai abbandonato?" (Matteo 27) e
"Padre nelle mani tue rimetto lo spirito mio" (Luca 23).

Questa è la fede radicale vera. Questa la speranza fiduciosa vera in un Dio che, nonostante tutto, si mostrerà e si imporrà non come un Dio capriccioso e apatico, ma come il Dio dell'amore che salva: sta qui la speranza suscitata dalla fiducia "nella quale il credente sta saldo, anzi si gloria delle afflizioni presenti, sapendo che l'afflizione produce pazienza, la pazienza produce esperienza, e l'esperienza produce speranza» (Romani 5).
[Questi articoli sono parte di alcune conversazioni sul tema DIO E IL MALE che si svolgono presso la chiesa di Cristo a Pomezia. Anche TU puoi partecipare con le tue domande e osservazioni: telefonaci e sarai il benvenuto!]

Informazioni: cell. 339 577 3986

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