Dio
ad Auschwitz?
Da decenni si cerca di
risolvere la questione: Se Dio c'è, perché c'è il male? Non esiste
una risposta teoretica a questo problema, o così sembra. La persona
credente può dire che: (1) se Dio esiste, allora era anche anche nelle
foibe e ad Auschwitz. Qui, credenti di religioni diverse hanno proclamato
che anche in questa fabbrica di morte Dio vive, nonostante tutto; (2)
ma il credente deve
ammettere che non si può dare una risposta alla domanda: come poteva Dio
esserci senza impedire?
Non si può scavare nel mistero di Dio: qui è il caso di spendere questa
parola, "mistero", tanto abusata. La Bibbia non spiega come il Dio buono,
giusto, potente (nessuno di tali attributi può essere abbandonato se si
vuole avere ancora a che fare con Dio) abbia potuto lasciare accadere
dolori e fatti così enormi. Il credente deve ammettere che qui siamo
dinanzi a un punto estremo, a una questione difficilissima, dove molti
scelgono il silenzio... Atei e scettici hanno ragione: nessuno dei grandi
spiriti dell'umanità ha risolto il problema della della giustificazione di
Dio di fronte al male.
Ma è giusto anche porre agli atei e scettici contemporanei la
controdomanda: la soluzione è allora davvero l'ateismo? L'assenza
di Dio spiega forse meglio il mondo coi suoi mali, dolori e morti, le sue
miserie e grandezze? Può l'incredulità consolare, per esempio, dinanzi
all'assurda sofferenza dell'innocente? E non è forse vero che la ragione
incredula incontra in tale sofferenza il proprio limite? Come se Auschwitz,
foibe e genocici non fossero in gran parte opera di criminali
già privi di Dio! Come si vede, l'ateo scettico non ha maggiori
possibilità di spiegazione del credente.
Allora: come comportarsi con la sofferenza e il dolore?
Non una comprensione
teoretica, ma una sopportazione pratica fiduciosa del dolore privo di
senso. Il dolore immenso, innocente non si lascia ordinare, spiegare,
comprendere teoricamente (individualmente e socialmente) ma solo
sopportare praticamente.
Giobbe dice che Dio è e resta in definitiva incomprensibile, ma è data
all'uomo la possibilità - invece che rassegnarsi o disperare - di una
fiducia incrollabile e incondizionata. Giobbe dice che Dio rispetta anche
la protesta dell'uomo dinanzi alla sofferenza e si rivela alla fine come
il Dio che lo libera dal dolore.
Invece di spingere invano su per il pendio, come Sisifo, un macigno che è
destinato a rotolare di nuovo a valle, si può adottare l'atteggiamento di
Giobbe: nonostante tutto il dolore di questo mondo, una fiducia assoluta,
incrollabile, nei confronti del Dio incomprensibile.
Ma di nuovo la questione: che Dio incomprensible, insensibile, è questo
che tenendosi al di sopra della sofferenza umana lascia che l'uomo si
dibatta, lotti, protesti, perisca o che si rassegni e muoia? Qui molti
trovano la ragione del loro ateismo. Eppure bisogna prendere in
considerazione la controdomanda: davvero Dio è così al di sopra della
sofferenza umana, come diamo per scontato nelle nostre proteste e come
ritengono gli stessi filosofi?
Certo si può dire: se si guarda all'immenso dolore del mondo, non si può
credere che esista un Dio. Ma si può dire anche il contrario: solo se c'è
un Dio si può in generale vedere questo immenso dolore del mondo.
Solo se c'è la luce ci si può accorgere del buio in cui
camminiamo.
Qui si deve tenere tenere conto di Gesù, della sua vita, della sua
sofferenza, della sua morte. Alla sua figura storica vogliamo richiamare e
invitare anche TE, per imparare a credere senza aver paura di porre
domande forti. |
Gesù ha avuto fiducia
Gesù è il Servo di Dio,
Servo che soffre e muore, Uomo dei dolori, familiare coi patimenti (Isaia
53). Questo Uomo che muore lentamente in croce, deriso, coperto di sputi,
anticipa e racchiude in sé l'esperienza amara di tutte le vittime
dell'odio:
poter essere abbandonati da tutti gli uomini;
poter perdere persino la propria umanità;
poter essere abbandonati persino da Dio stesso.
Domandiamoci: la morte di Gesù ha avuto un senso?
Della vita e della sofferenza di Gesù, che sembra vivere e soffrire senza
senso si può dire solo una cosa, ma assolutamente importante: anche un
vivere e un soffrire umano manifestamente assurdo può avere un senso, può
ricevere un senso.
La morte di Gesù ha avuto un senso? Risposta: solo la fede
fiduciosa nella resurrezione di Gesù a vita nuova, mediante Dio e
con Dio, può dare "senso" a questo morire esteriormente privo di senso, a
questo morire nell'abbandono da parte di Dio.
Solo in virtù di questa fede, il Crocifisso, Risuscitato alla vita di
Dio, costituisce un invito a confidare in un senso anche in mezzo a
una sofferenza apparentemente priva di senso e a praticare in questa vita,
sino alla fine, la sopportazione e la resistenza.
Non quindi l'attesa di un lieto fine sulla terra, come per Giobbe, che
alla fine riavrà i beni e i figli: così favoleggiano molte chiese e gruppi
ancor oggi. Gesù dice invece: "Non
è dall'abbondanza dei beni che uno possiede, che ha la vita...»
(Luca 12).
Non perciò promesse di beni materiali. Ma, invece, in maniera totalmente
radicale, la proposta di trovare un senso anche
nella sofferenza priva di senso, sopportata, se necessario, sino alla fine
amara.
Un senso nascosto, che l'uomo non scopre da sé. Non sono io ad annettere
questo senso nascosto alla mia vita e alla mia sofferenza. Si tratta
infatti di un senso che posso ricevere in dono alla luce del Gesù Unico,
Abbandonato da Dio e dagli uomini e tuttavia reso Giusto.
Questa via radicale qui suggerita, questa via del senso nascosto, è
presentata pure nel Vangelo, che lega inscindibilmente tra loro:
sofferenza e speranza,
dolore e fiducia,
morte e senso nascosto della morte,
abbandono e fiducia
--- tutto ciò è presente nei due gridi di Gesù in croce:
"Dio mio perché mi hai abbandonato?" (Matteo 27) e
"Padre nelle mani tue rimetto lo spirito mio" (Luca 23).
Questa è la fede radicale vera. Questa la speranza fiduciosa
vera in un Dio che, nonostante tutto, si mostrerà e si imporrà non
come un Dio capriccioso e apatico, ma come il Dio dell'amore che salva:
sta qui la speranza suscitata dalla fiducia "nella quale il credente sta
saldo, anzi si gloria delle afflizioni presenti, sapendo che l'afflizione
produce pazienza, la pazienza produce esperienza, e l'esperienza produce
speranza» (Romani 5).
[Questi articoli sono parte di alcune conversazioni sul tema DIO E IL
MALE che si svolgono presso la chiesa di Cristo a Pomezia. Anche
TU puoi partecipare con le tue domande e osservazioni: telefonaci e
sarai il benvenuto!] |