Riflessioni

AVVERSIONE e CONVERSIONE

Dall’avversione alla conversione: una bella storia seria sulla via di Samaria I più pericolosi dei nostri pregiudizi regnano in noi contro noi stessi. Dissiparli è genialità (Hugo von Hofmannsthal, Il libro degli amici) Il pregiudizio in generale, e quello razziale in particolare, persiste ancora nella nostra civiltà globalizzata, anche se tutti sanno, o dovrebbero sapere, che la razza umana è una sola. Il pregiudizio è un giudizio formulato a priori, basato su percezioni legate a stereotipi, a estreme generalizzazioni attribuite a singoli individui o a gruppi di persone (non conosciute direttamente), spesso appartenenti a minoranze. Il pregiudizio erige una barriera mentale di irrazionale avversione, come confermato dalla Storia nel suo drammatico, cinico ricorso, iniziando dall’atavica contesa fra agricoltori e allevatori per l’uso del terreno (Gen. 4,3ss,; Caino e Abele). Si passò poi alle discriminazioni per il pigmento della pelle, fino ad arrivare alle attuali percezioni xenofobe verso gli emigranti del Sud del mondo. La problematica sottostante è la diversità, legata poi alla discriminazione per cui “gli altri” sono brutti, cattivi, dalla parte del male, mentre noi siamo belli, buoni e dalla parte del bene. Si tratta quindi di forme rudimentali di categorizzazione della realtà, tipiche dei bambini, i quali poi – da adulti – dimenticano che “gli altri” siamo anche noi. All’epoca di Gesù, il mondo era diviso in due quanto a credenze religiose: gli Ebrei, unico popolo monoteista, e i pagani politeisti. Prima di Cristo, nonché durante la sua missione di salvezza, fra giudei e samaritani c’erano cattive relazioni perché i samaritani, durante il dominio dell’Assiria nel 721 a. C., si erano “mescolati” e quindi “contaminati” con popolazioni straniere, in modo da compromettere la cosiddetta “purezza razziale”. Il pregiudizio si istituzionalizzò quando i Samaritani edificarono il loro tempio sul monte Garizim, contrapponendolo a quello di Gerusalemme. Durante un incontro pubblico Gesù fu interrogato da un dottore della legge mosaica il quale, per metterlo in difficoltà, gli chiese come ottenere la vita eterna (Lc. 10,25ss). Gesù colse l’occasione per insegnare l’inutilità del pregiudizio, dell’avversione preconcetta. Raccontò la parabola del samaritano pietoso. Si tratta di una situazione concreta, frequente, come quella accaduta al povero giudeo (vittima di aggressione), e ai due protagonisti negativi (il levita e il sacerdote), i quali neppure si fermarono ad aiutare la vittima. Si fermò invece l’odiato Samaritano, dal quale nessuno si sarebbe aspettato il “rivoluzionario” atto misericordioso a favore di un “nemico”. Domanda retorica (ma non tanto): a chi ci sentiamo personalmente più vicini, alla persona che usa misericordia verso chiunque o alla persona animata da pregiudizio, fonte di avversione? C’è molta concretezza nel consiglio di Gesù a “fare lo stesso”, a fare cioè come il buon Samaritano (Lc 10,37). Un consiglio che vale ancor oggi per chi si definisce cristiano praticante o non praticante. Ma la storia continua. In precedenza, Gesù e i discepoli subirono essi stessi il pregiudizio. I samaritani di un certo villaggio rifiutarono pretestuosamente di ospitarli nelle loro locande, pur avendone disponibilità (Lc 9,52). Come reagirono Giacomo e Giovanni al male ricevuto con quel rifiuto? Reagirono con maggiore ostilità, come avviene ai giorni nostri quando si risponde al male col male. Ecco il loro suggerimento: “Signore, vuoi che diciamo che scenda fuoco dal cielo e li consumi, come fece anche Elia?” (Lc 9,54; tra l’altro i due manifestarono di non aver compreso il senso del fatto di Elia attorno al fuoco, 1 Re 19,1 ss.). “L’antitesi è la porta stretta per la quale l’errore si insinua più volentieri fino alla verità” (F. Nietzsche, Umano, troppo umano). L’antitesi, in tal caso, fu la posizione controcorrente assunta da Gesù. I due discepoli furono ripresi: “Voi non sapete di quale spirito siete”. Come a dire che, se si agisce secondo la logica tipicamente umana, non si ha consapevolezza dei princìpi spirituali, si è cioè guidati da “pensieri carnali”, causa di condotte “carnali”, contrarie alle categorie del pensare e dell’agire spirituale (Mt. 12,34 s.; Gal. 5,16ss). Il Signore interruppe quindi la catena dell’odioso pregiudizio, concentrandosi sulla salvezza collegata alla sua missione (Lc 9,56), senza pensare a pareggiare i conti per l’offesa ricevuta. Ma la storia continua. Non molto tempo dopo, Gesù sulla via che porta a Samaria (Gv 4,1ss), nei pressi di Sicar, stanco, fece sosta al pozzo di Giacobbe. Qui incontra una donna samaritana. Il Signore le chiede dell’acqua. La donna si meraviglia che uno sconosciuto, un giudeo, potssa addirittura rivolgerle parola, considerando la notoria, reciproca repulsione. Infatti, anche i discepoli si stupiscono nel vedere il maestro interagire con una donna e per di più samaritana! Stabilito il contatto, Gesù inizia un dialogo. La sua interlocutrice comprende che egli è il profeta di Dio tanto atteso (Deut. 18,15 ss.). Approfitta per chiedere lumi riguardo alla questione del tempio, ovvero dove fosse lecito adorare, ottenendo la seguente risposta: “L’ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, perché tali sono gli adoratori che il Padre richiede” (Gv 4,23). Spazio e tempo non hanno più importanza alcuna. Importa lo Spirito e la verità. La donna si fidò di Gesù soprattutto quando egli la fece riflettere su alcuni aspetti della sua vita privata. Lei, gettato a terra il secchio, corse al villaggio per raccontare tutto: “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto; non sarà forse lui il Cristo?” (Gv 4,29). La samaritana, colpita dalla grande capacità psicologica del Signore, all’inizio non comprese il senso simbolico della fonte (il messia) e dell’acqua (la Parola che dà vita). I discepoli, altrettanto stupiti, non capirono che il maestro, parlando di cibo, si riferisse al nutrimento spirituale (la Parola di Dio; Gv 4,33). Ma la storia continua. I samaritani del vicino villaggio accorsero quindi a conoscere Gesù e, dopo averlo ascoltato e conosciuto, passarono dall’avversione pregiudiziale alla conversione. Così dissero alla donna: “Non è più a motivo delle tue parole che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che costui è veramente il Cristo, il Salvatore del mondo” (Gv 4,42; cfr. Lc 16,19 ss.). Questo è il metodo che vale ancora oggi per convertirsi alla verità di Cristo. La sua autorità autorevole è resa nota nelle sacre Scritture (Gv 14,6; Ap 22, s.). Ma la storia continua. Gesù seminò personalmente in quei luoghi nella prospettiva di favorire il raccolto spirituale da parte dei discepoli (Gv 4,35 s.). Appena poco tempo dopo l’ascensione, i “frutti della semina” furono pronti per essere colti. Ma proprio a Samaria un illusionista aveva affascinato molti, tanto da assurgere a “grande potenza di Dio” (At 8,11). Ma nei villaggi di Samaria, “quando credettero a Filippo, che annunziava la buona novella delle cose concernenti il regno di Dio e il nome di Gesù Cristo, uomini e donne si fecero battezzare” (At 8,12). Seguì pure la conversione del grande mago Simone, che illuse se stesso, visto che si lasciò prendere da bramosi interessi: voleva comprare la facoltà di donare lo Spirito di Dio (At 8,20; una promiscuità fra denaro e Spirito che, più tardi, non sarebbe stata considerata poi così aberrante...). Ma la storia può continuare ancora in qualsiasi luogo della terra, ormai villaggio globale, poiché “la fede viene dall’udire, e l’udire viene dalla parola di Cristo” (Rom. 10,17). Si esamina la Scrittura, ci si persuade e si cambia, passando dalla avversione e dal pregiudizio alla conversione e al buon criterio dell’Evangelo che insegna l’amore che il Padre ha per tutti e per ciascuno. © Riproduzione riservata Maurizio Santopietro – 08 2018

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