Riflessioni

FACENDO DEL BENE

“Facendo del bene” Chi è Gesù di Nazaret Gesù viene da Nazaret (vedi foto). “Dio lo ha unto di Spirito Santo e di potenza; ed egli è andato attorno facendo del bene… perché Dio era con lui”. Queste semplici espressioni sono la descrizione dell’opera di Cristo narrata da Luca. Gesù aveva un nome significativo che, tradotto, vuol dire “Dio salva”. Dio, colui che solo è Buono, era “con Gesù”. Lo aveva “unto”: l’unzione con olio profumato era l’azione con cui si sceglieva il re. Gesù era stato “unto” con lo Spirito potente di Dio stesso. Ebbene, l’azione di questo Gesù “re” viene sintetizzata in una battuta: andava in giro per la Palestina “facendo del bene”. Per evitare di dare un senso generico e banale al suo “fare del bene”, basta rivedere brevemente la narrazione dello stesso Luca nel suo evangelo. Gesù anzitutto “fa del bene” perché annuncia il regno di Dio. Un regno che consiste di gioia, pace e allegrezza “nello Spirito di Dio” (Romani 14). È l’annuncio che Dio si avvicina a ciascuna persona, e quindi a tutti indistintamente, proprio mediante il Suo “unto”, Gesù di Nazaret. E si avvicina per evangelizzare i poveri, per liberare i prigionieri del male, per restituire la vista spirituale (e fisica) ai ciechi, per rimettere in libertà gli oppressi, per annunciare l’anno della grazia del Signore, cioè un periodo regale di dono gratuito e immeritato a chiunque si trova e si sente, appunto, in condizione di povertà, prigioniero del male, cieco, oppresso (Luca 4). Inizia così con la proclamazione di Gesù, cioè con questo suo “fare del bene”, un tempo di grazia nel quale viviamo ancor oggi. La grazia di Dio non si paga. È grazia, cioè dono gratuito! Nessuno, né prima né dopo Nessuno, né prima né dopo Gesù, è stato capace di fare il “bene” che egli ha fatto per la sua generazione e per le generazioni successive, compresa la nostra. Quando gli uomini compiono qualche “bene” lo fanno quasi sempre per un tornaconto. Non così Gesù. Egli praticò un criterio diverso: “più felice cosa è il dare che il ricevere” (Atti 20). Gesù guarì istantaneamente lebbrosi, malati, paralitici. Risuscitò istantaneamente persone morte, come il figlio della vedova di Nain. Guarì malati che nessun medico aveva potuto guarire. Perdonò i peccatori che si mostrarono pentiti dei propri errori e restituirono ciò che avevano derubato (il caso di Zaccheo). Insegnò a non confidare nei beni di questo mondo, perciò non richiamò quel ricco che lo abbandonò proprio perché aveva grandi beni. Per Gesù la vera grandezza sta nell’umiltà del servizio. Insegnò a pregare. Preannunciò la propria morte ma anche la sua risurrezione dai morti. Insegnò a godere delle cose di questa vita senza perdere di vista le cose del regno di Dio. Insegnò la necessità di una profonda conversione alle cose di Dio. Molti si rifanno al nome di Gesù. Pochi sono coloro che ne seguono i criteri di vita insegnati da quel Padre che aveva dato a Gesù lo “Spirito senza misura”. Ogni persona anche oggi può ricevere lo Spirito di Dio mediante l’ubbidienza alla Parola di Gesù. La fede ubbidiente ci innesta a Gesù, vero albero di vita per chi vuole attuare il battesimo biblico, cioè “rinascere” in Cristo (Romani 6). Così il discepolo di Gesù attuerà con la forza di Dio lo stesso criterio per cui “più felice cosa è il dare che il ricevere”. Occorre davvero imitare Gesù. In una società cieca, egoista, oppressa da mille schiavitù (e scontenta di tutto), c’è gran bisogno di imitare Gesù.

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