Gentile Sig. Arcaini,
nel ringraziarLa
della Sua domanda, ci scusiamo con Lei per il ritardo di questa risposta, dovuto
a problemi tecnici con il nostro sito.
La Parola di Dio presenta il peccato come il fallimento dell’agire dell’uomo.
Giovanni lo descrive come trasgressione della legge di Dio (1 Giov. 5,4).
Giacomo ne delinea l’origine con una acuta analisi psicologica: nessuno viene
tentato da Dio, Dio non tenta alcuno; ma ciascuno viene tentato dalla propria
“concupiscenza, che lo attrae e lo adesca. Poi la concupiscenza, avendo
concepito, partorisce il peccato e il peccato quando è compiuto produce la
morte” (Giac. 1,14 s.). E aggiunge pure che il peccato è un bene omesso (Giac.
4,17).
La distinzione tra peccati “gravi” e “piccoli” appartiene alla teologia, non
alla Parola ispirata da Dio e presentata nel testo biblico.
Il peccato isola l’uomo. E l’uomo, col peccato, sceglie l’isolamento. Gesù però
va in cerca delle pecora perduta (isolata dal gregge, appunto); egli ci insegna
a sconfiggere il peccato tramite il dono di Dio (grazia) cui la persona risponde
per fede ubbidiente. Così, con la fede e il ravvedimento si può sconfiggere il
peccato.
Se con il mio peccato ho intralciato il cammino di fede della comunità e del
prossimo, sarò io stesso a cercare – anche con la confessione pubblica – di
rimediare alla situazione. E ciò soprattutto quando è la chiesa a riprendermi
per un mio errato comportamento (Matteo 18,15-18). Il peccatore di Corinto di
cui in 1 Corinzi 5 è probabilmente lo stesso che, ravveduto, sarà poi accolto
dalla chiesa tutta (2 Corinzi 2,5 ss.).
Non bisogna sottovalutare la forza e il valore della confessione pubblica di
peccati che hanno generato ostacolo alla fede altrui e cattivo esempio. Questo
genere di confessione era ben noto presso i primi cristiani (Giac. 5,16; si
ignorava invece la confessione auricolare fatta al sacerdote!). Con il
pentimento fattivo (= “frutti degni del ravvedimento”, Matteo 3,8) e la
confessione, la persona cerca appunto la reintegrazione nella comunità/chiesa,
dimostra di rifiutare l’isolamento e di desiderare ardentemente d’essere
ricompaginato nella comunità del Signore. Il peccatore ricerca sì il perdono di
Dio, ma anche quello dei fratelli e delle sorelle in Cristo. Con la confessione
sincera egli apre il proprio cuore, si arrende all’amore di Dio e all’affetto
dei fratelli, peccatori come lui, e come lui bisognosi del perdono divino. La
confessione schietta dimostra che si sta nella chiesa proprio perché si è
peccatori sempre pronti al ravvedimento, non ipocriti che ritengono di non
peccare mai.
La confessione è dunque un’opera buona compiuta nel cuore della persona dalla
misericordia di Dio. La confessione non va considerata come un “atto dovuto” né
come un “atto cui sono tenuto”, bensì come il naturale sbocco di un cuore
profondamente pentito che ha ritrovato la via della fede fiduciosa e nel Padre e
nei fratelli in Cristo. Con la confessione il peccatore rigetta l’isolamento per
ritrovare l’insieme dei fratelli, i quali affettuosamente pregano per lui (Giac.
5,16b). Ravvedimento (= cambiamento di pensiero) e confessione rappresentano
davvero l’esito buono del fatto che ho dato ascolto a coloro che son venuti a
parlare con me per correggermi. Così si cancella effettivamente una moltitudine
di peccati (Giac. 5,19 s.).