Cari
amici,
ho
interesse ad approfondire argomenti che non comprendo, e vorrei partire da brani
dove Gesù parla in modo esplicito della Sua seconda venuta e,
sebbene non ne indichi l’ora o il giorno, si riferisce a un
evento che sarebbe dovuto avvenire in un arco di tempo abbastanza breve:
E
sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi persevererà sino alla fine
sarà salvato. Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un'altra; in
verità vi dico: non avrete finito di percorrere le città di Israele, prima che
venga il Figlio dell`uomo (Mt. 10,22).
Perché
il Figliuol dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, ed
allora renderà a ciascuno secondo l'opera sua. In verità io vi dico che alcuni
di coloro che son qui presenti non gusteranno la morte, finché non abbian visto
il Figliuol dell'uomo venire nel suo regno (Mt.16,27
s.).
Dovunque
sarà il carname, quivi si raduneranno le aquile. Or subito dopo l'afflizione di
quei giorni, il sole si oscurerà, e la luna non darà il suo splendore, e le
stelle cadranno dal cielo, e le potenze dei cieli saranno scrollate. E allora
apparirà nel cielo il segno del Figliuol dell'uomo; ed allora tutte le tribù
della terra faranno cordoglio, e vedranno il Figliuolo dell'uomo venir sulle
nuvole del cielo con gran potenza e gloria. E manderà i suoi angeli con gran
suono di tromba a radunare i suoi eletti dai quattro venti, dall’un capo
all’altro dei cieli (Mt. 24,28).
L’idea del
ritorno imminente è assai presente anche nelle epistole ed indica in che modo
le frasi di Gesù erano state intese.
Sul
significato dell’espressione “venuta del Figlio dell’uomo” alcuni
studiosi riferiscono tale venuta non solo alla morte individuale e collettiva
(escatologia individuale e collettivo-universale), ma anche ad altri eventi come
la distruzione di Gerusalemme. Quest’ultimo fatto, in particolare, viene
indicato come la giusta punizione della sinagoga persecutrice e degli ebrei
deicidi.
Secondo Mt.
24,30 l’apparizione in gran potenza e
gloria non sarebbe altro che la distruzione pianificata di Gerusalemme
attuata dal Figlio dell’uomo con
Ho difficoltà
ad immaginare un Cristo che interviene nella storia dell’uomo come colui che,
per estirpare nel campo un poco di zizzania, calpesta il grano. Nelle madri e
nei figli uccisi in quella carneficina io non vedo colpe; essi hanno
rappresentato, secondo me, le vittime più deboli della follia della guerra e ho
quindi grande difficoltà ad immaginarli quali danni collaterali della giustizia
divina.
Non è facile
neanche attribuire crimini maggiori di quelli di cui si macchiano comunemente
gli altri uomini ai giudei che non capirono nel breve tempo di una generazione
che il loro contratto perpetuo con Dio, così come era stato loro insegnato, era
scaduto. Qualcuno aveva parlato, poi aveva attivato il meccanismo ad orologeria
ben sapendo che quasi nessuno si sarebbe avveduto per tempo del pericolo. Veniva
richiesto in tempi brevissimi alla moltitudine, che immagino in larga misura
ignorante, analfabeta, un cambiamento religioso collettivo tale che non si è
poi visto neanche nei duemila anni seguenti, ma loro per questo perirono. Non fu
certo il peggiore disastro della storia, ma ad esso è associato il Figlio
dell’uomo, e non è poco.
Comprendo lo
scarso valore della mia difesa d’ufficio allorché Paolo stesso in 1 Tes.
2,15-16 invoca “l’ira finale” nei confronti di coloro che definisce
“nemici dell’umanità”, e lo fa con uno stile che, sebbene esasperato
dalle vicende, non viene spontaneo immaginare in uno scritto destinato a sfidare
il tempo e ad illuminare l’umanità. Immaginava l’apostolo che
l’invocazione di una sentenza sommaria di distruzione fisica avrebbe
probabilmente inciso nella demenziale giurisprudenza antica e moderna delle
persecuzioni?
I più
inclini alla violenza avrebbero tratto, dal riverbero della distruzione di
Gerusalemme, presidiata dal Figlio dell’uomo e dal benestare apostolico, una
divina ispirazione all’odio verso gli ebrei e gli “altri” in genere; e così
mi sembra che è stato.
Infine,
secondo lo strano principio del tutto e del suo contrario, in questa nuova
prospettiva avremmo dunque insieme perdono e vendetta. Da una parte il Cristo
che in croce prega il Padre dicendo: “perdona
loro perché non sanno quel che fanno”, dall’altra il Figlio dell’uomo
quale supremo vindice, come lo
presentano alcuni biblisti.
Mi piacerebbe
conoscere la vostra opinione in proposito. Grazie. (Antonio).
Caro Antonio,
cerchiamo di rispondere sinteticamente a domande e dubbi che Lei esprime nella sua gradita lettera.
1. Lei chiede quale sia il significato delle parole di Gesù nei vari brani evangelici in cui sembra che Gesù preannunci la sua venuta come imminente. Per ben comprendere il senso di quei brani, occorre riconoscerne il genere letterario. Le parole di Gesù sono coniate sul linguaggio apocalittico della letteratura ebraica. Il genere letterario apocalittico adottava immagini cosmiche, figure particolarmente vivide e per noi a dir poco inconsuete per significare ad esempio eventi storici epocali quali l’avvicendarsi di imperi, o la caduta dello stesso Israele, o la sua deportazione, o altri eventi descritti appunto con immagini tipiche raffiguranti cataclismi cosmici.
Il genere apocalittico rispondeva alle esigenze del popolo disperato, che non sapeva più a chi rivolgersi a causa di un'oppressione, di una condizione di sfruttamento e di ingiustizia estreme cui poteva essere sottoposto. Chi ricorre al linguaggio apocalittico lo fa quasi per disperazione o per protesta contro Dio, affinché intervenga in qualche modo a sanare un'ingiustizia intollerabile contro la quale il profeta o gli uomini in genere riconoscono di non poterci nulla. Di qui, appunto, il linguaggio ricco di immagini cosmiche, esorbitanti, cariche di disperazione e tensione: luna e sangue, sole e buio, carne e aquile, potenze scrollate, il cielo oscurato, la creazione si ritrae spaventata, ecc.; immagini che vogliono significare, a seconda dei casi, richiesta di intervento di Dio ("venuta"), giudizio divino, cambiamenti epocali, fine di un regime, di una città, di un impero, di una civiltà o di un mondo.
Il linguaggio e le immagini apocalittiche adottate da Gesù non erano una novità per gli ebrei. Erano stato anticipate per esempio da Isaia, il quale parla di Yahwhè che “viene” nel suo “giorno” contro Babilonia: la terra si muta in deserto, gli astri si oscurano, la luna si rabbuia, i cieli vengono scossi, la terra trema (13,9-10.12-13; v. Is. 24; Ez. 22; Gioele 2).
Occorre poi considerare che la mentalità semitica di chi adotta questo linguaggio (o anche di colui che lo ascolta), ritiene che ogni cosa – bene e male – viene immediatamente da Dio e a Lui direttamente l’attribuisce. Per l'ebreo non ha senso parlare in termini di conseguenze catastrofiche di una politica errata fatta dagli uomini. Se si legge ad esempio il Libro dei Re, ci si accorge della ciclicità di eventi e situazioni che si susseguono secondo questo schema: (1) condizione di pace, (2) peccato del popolo (mentalità corporativa: il peccato di uno ricade su tutti), (3) punizione di Dio sotto forma di sconfitte subite dai popoli vicini, (4) pianto e ravvedimento del popolo, (5) intervento divino e nuova situazione di pace. Poi il ciclo ricomincia.
Naturalmente questo modo di vedere le cose a noi appare rozzo, inadeguato a spiegare gli eventi storici: noi siamo abituati a indagare le ragioni superficiali e profonde, politiche ed economiche, sociali e individuali che hanno originato certe conseguenze. Eppure, nonostante tutte le ricerche storiche, quanti fatti restano misteriosi, inesplicabili, assurdi! frutti dell'uomo che abbandona Dio per deificare se stesso (Erode, Sacro Romano Impero, Napoleone, Stalin...) e avviarsi verso un destino tragico. Insomma, nonostante il peso della storia, per la Bibbia è Dio il Signore della storia, non l’uomo.
La buona esegesi dei brani da Lei citati mostra – proprio alla luce del linguaggio adottato, come si è visto, anche dai profeti antichi – che le parole di Gesù ispirate al genere apocalittico non indicavano il suo ritorno immediato ma la sua “venuta” intesa come giudizio su Gerusalemme quale si attuò nel 70 d.C. Che poi ciò adombri e prefiguri anche la fine del mondo – seppure in tempi ignoti – lo si comprende per esempio esaminando attentamente Mt. 24.
Del resto, quando tra i primi discepoli si diffuse l’idea di un ritorno imminente di Gesù, tanto che alcuni avevano persino smesso ogni attività sociale, Paolo stesso corresse quella aspettativa, perché errata:
Ora, fratelli, circa la venuta del Signore nostro Gesù Cristo e il nostro adunamento con lui, vi preghiamo di non lasciarvi così presto sconvolgere la mente, né turbare sia da ispirazioni, sia da discorsi, sia da qualche epistola data come nostra, quasi che il giorno del Signore fosse imminente. Nessuno vi tragga in errore in alcuna maniera… (2 Tes. 2,1 ss.).
Queste parole sono scritte intorno al 50 d.C., ben prima cioè della stesura di Matteo e degli altri vangeli sinottici. Quando dunque Marco, Matteo e Luca scrivono le loro narrazioni, i lettori di allora erano meglio in grado di noi di non fraintenderle, come può invece capitare a noi oggi, anche per la nostra minore familiarità coi testi e con quel genere di linguaggio e di cultura. Con lo studio attento e costante, però, ogni cosa diviene comprensibile e davvero la Bibbia spiega se stessa.
2. Gesù è profeta nel senso che (1) parla a nome di Dio, e (2) è dotato di una perspicacia unica, che gli consente di osservare la situazione attuale e di prevederne le conseguenze. Lei ricorda Mt. 23,35-36 (tutto ciò verrà su questa generazione...). Attenzione, però!, leggiamo anche subito dopo: Gerusalemme, tu uccidi i profeti e lapidi quelli che Dio ti invia, “quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la gallina raccoglie i pulcini sotto le sue ali; e voi non avete voluto!” Vi accadranno cose tremende, finché non riconosciate chi è il “benedetto” (Mt. 23,37 s.).
Queste parole contengono la constatazione amara espressa in quel “non avete voluto”. Segue poi il paragone della gallina che raccoglie i pulcini sotto le sue ali. È una scena tipica che si vede sull’aia prima della tempesta... Ma, dice Gesù, molti (non tutti!) della mia generazione non hanno voluto rispondere al mio richiamo, vale a dire: non hanno voluto rispondere al richiamo di Giovani il Battista prima di lui (Mt. 11,17), né – per ciò che riguarda le precedenti generazioni – al richiamo dei profeti (di qui il riferimento da Abele a Zaccaria). Abbiamo qui, in sostanza, lo stesso ragionamento presentato da Stefano nel suo je'accuse in Atti 7, e che gli sarà fatale. Gesù piange su Gerusalemme (Lc. 19,42 ss.) perché sa che se fanno tali cose al legno verde (= ammazzano lui) che cosa non succederà al legno secco? (v. Lc. 23,31 = distruzione non del mondo, ma di un mondo, quello che ruotava intorno a Gerusalemme, capitale religiosa e politica).
Nelle relazioni fra uomini e Dio, la volontà umana non dovrebbe né essere accresciuta a dismisura aumentandone l’importanza (super-uomo), né essere sminuita fino ad annullarla (fato, destino). La volontà umana è quel che è, capace di aprirsi all’affetto di Dio, ma anche di chiudersi al suo richiamo in Gesù, capace cioè di negarsi e di negare, di far vincere scetticismo, amarezza, di chiudersi a riccio in un “no” che è sempre tragico.
L’intervento di Dio nella storia non è che la conseguenza di una volontà negativa dell’uomo che, chiudendosi al richiamo divino, segue la propria strada purtroppo tragica. L’amarezza di Gesù sta nel constatare tutto ciò (non, come Lei dice, “la distruzione pianificata di Gerusalemme”). Che cosa può fare Gesù, se non lo vogliono ascoltare? Può ancora morire. Ed è proprio questa la via che sceglie. Mentre erano (eravamo!) ancora peccatori (chiusi, negativi, arroccati), Cristo è morto a favore degli empi (Rom. 5,6). Dunque non – come Lei scrive – uno che parla e poi attiva un meccanismo ad orologeria, ma uno che parla – dopo che molti prima di lui hanno parlato e agito – al fine di salvare, per poi arrivare fino a morire per amore del suo popolo (anche ebraico) nonostante questo non voglia ascoltare. Non dunque “il tutto e il suo contrario”, come Lei dice, ma quel TUTTO incommensurabile dell’Amore di Dio, il quale vuole che “tutti gli uomini siano salvati” (1 Tim. 2,1 ss.).
Più tardi, nel corso del primo secolo, questa volontà negativa degli uomini si dimostrerà non solo in termini di indifferenza ma di contrapposizione netta e violenta al vangelo, con tentativi di opprimerlo e annullarlo insieme a quanti lo seguivano. Paolo (che certo non ignorava gli insegnamenti di Gesù) vede o prevede che questo mettersi contro Dio porterà distruzione fra i persecutori dei credenti (1 Tes. 2,14 ss.). L’apostolo ragiona similmente a come pensava il rabbì Gamaliele, che cerca di spingere il proprio sguardo ad interpretare i segni della storia. Anche Gamaliele sa che mettersi contro Dio può essere pericoloso, e fa liberare gli apostoli (At. 5,34 ss.).
3. Veniamo ora alle famiglie di quella generazione. Certo, molti perirono nell’assedio e nella presa della città di Gerusalemme. Giuseppe (Flavio) ci informa di scene tragiche e raccapriccianti. Molti persero la vita in maniera orrenda.
Che cosa fu tutto questo? Un
monito alle generazioni future? Ce ne saranno altri. Un esempio tremendo della
malvagità umana? Se ne vedranno altri, anche peggiori. Il testo apocalittico
per eccellenza, l’Apocalisse di Giovanni, dopo aver descritto analoghi fiumi
di sangue dice in sostanza: gli uomini non cambiano, non si ravvedono delle loro
opere (Apoc. 16,9).
Dio ha dunque fallito in Gesù?
L’opera di redenzione attuata da Gesù è dunque da considerarsi come inutile?
Il regno di Dio che egli stabilì si risolve in un insuccesso globale? Questo,
in effetti, è proprio ciò che va proponendo
Bisogna osservare che la
tragedia immane che si abbatté su Gerusalemme non ci dice nulla della salvezza
o perdizione eterna di coloro che vi perirono. Questo giudizio resta nelle mani
di Dio. La tragica fine di Gerusalemme, e tutte le tragedie del mondo, non
possono annullare la segreta presenza di Dio Amore e Giustizia nella vita dei singoli (v. l’esempio di Giobbe, ma soprattutto quello di Gesù)
che dei popoli (At. 17,28).
4. Quanto alle espressioni antiebraiche e all’odio verso gli “altri”, cioè i diversi, anche qui occorre stare attenti. Solo la stortura dei brani biblici (2 Pt. 3,16) può generare quei comportamenti antiebraici, cioè antiumani, che sono stati tenuti nel corso della storia. L’accusa di deicidio rivolta agli ebrei è stata ed è una bestemmia, un’aberrante stoltezza da cui ravvedersi concretamente. Le espressioni che Lei sottolinea, però, non propongono in realtà una qualche forma di antisemitismo, più di quanto la “destra” e la “sinistra” spesso usate nella Bibbia indichino quei significati politici che poi sarebbero divenuti consueti nella mentalità e nella lingua contemporanea. La Bibbia non è responsabile di quei comportamenti antiumani, più di quanto lo sia della concezione milleraria che Hitler aveva del Terzo Reich (altra tragica stortura di Apoc. 20, 1 ss.).
Il presunto apostolo Paolo antisemita è lo stesso che ha espresso l’amore più profondo per il proprio popolo ricordando con onore le proprie origini (Filippesi 3,5). L’accusa di antisemitismo mossa a Paolo è inconsistente perché non tiene conto di quella che è la sua dichiarazione d’amore per i propri connazionali, al punto da voler diventare egli stesso anatema (= maledetto da Dio) per amore loro e pur di condurli alla salvezza nel Messia (Rom. 9,3 ss.; 10,1 ss.; 11,1 ss.).
“Dio degli eserciti” è un nome biblico che si riferisce a Dio come signore degli eserciti celesti, cioè le stelle, il firmamento, il cui moto per gli ebrei era regolato da forze angeliche. Per esempio, Gesù, parlando con Pilato, dice che se volesse potrebbe pregare il Padre perché gli mandi legioni di angeli per difenderlo, ma non prega così, anzi dona se stesso consapevolmente e fiduciosamente; non quindi il “vindice supremo” di cui parlavano alcuni biblisti, bensì il pastore che mette la sua vita per le pecore (Gv. 10,11 ss.), il rappresentante di quel Dio che vuole che tutti gli uomini si salvino giungendo alla verità che è in Gesù (1 Tim. 2,1-5). Però solo se vogliono.
5. Quanto allo “strano principio del tutto e del suo contrario”, cui Lei accenna, a ben vedere ci si presenta invece un Dio che si prodiga per l’umanità, la quale continua a non ascoltarlo. È Lui che non si spiega? Siamo noi che non intendiamo? Una cosa è certa: che le cose basilari del vangelo sono alla superficie delle scritture e che in ogni generazione l’amore verso Dio e verso il prossimo possono essere attuati nella vita dei singoli e delle famiglie, nonostante tutto il male presente e agente nel mondo. Gesù resta via verità vita per ciascuno. Questa vita in cui esercito la mia volontà resta davvero il caso serio, qui-e-ora.
La ringraziamo del Suo gentile intervento e speriamo di poter proseguire questo scambio, magari di persona.
chiesa di Cristo Gesù, Pomezia – tel.: 339 5773986